Invito alla Creatività

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Dimensione esistenziale
Foglio banco su scrivania di legno con matite, gomma e lampadina creativa

Invito alla Creatività

 

Piccola catena associativa: mani-festare; mani-polare; gelo; gelso; eccelso, fantasia, ascesi, ispirazione, creazione.

Possiamo pensare che la creatività possa ritrovarsi nella manifestazione ovvero nel rendere visibile attraverso “la festa delle mani” il proprio pensare o il proprio sentire? La breve catena associativa mi suggerisce che possa essere così.

Seguendo un filo mai troppo logico, le catene associative ci possono condurre da un luogo della mente ad un altro proprio come un futuristico teletrasporto. Dal gelo al gelso, vernice naturale che da bambini utilizzavamo come pittura rituale per accompagnare le nostre espressioni truci, lanciate in un grido di battaglia nelle lotte tra bande rivali tra via Dante e via Manzoni. Ed erano sassate e fionde, bernoccoli e pianti, armi cesellate e cerbottane, sconfitte, vittorie e trattati di pace creati dalla fantasia e dall’ispirazione del gruppo e dal “teatro della via Pal” che allestivamo ogni giorno nella nostra campagna.

Creatività è un concetto tanto abusato oggi quanto necessario, è quell’ascesi che eleva il corpo alla mente, ne congiunge le fibre e lo riporta a sé stesso nell’espressione, nella danza, nella musica, nella scrittura, nell’amore, nella pro-creazione (non necessariamente intesa come generazione di una vita). Si…perché se volessimo elevare al grado massimo la creatività è proprio nel gesto più naturale di un incontro d’amore che potremmo scorgerlo, nel moto di un sentimento che dall’uno giunge al due e dal due giunge al tre e dal tre porta alle diecimila cose, come recita l’apertura del testo filosofico orientale del Tao Te Ching, che intravede il processo del fiorire della creazione nella congiunzione di principi elementari.

Picasso ha detto: “io non cerco, trovo”. Infatti il suo dono più suggestivo è quello di scoprire in tutti gli oggetti forme che sembrerebbero prive di verità figurative (Luciano Emmer).

Proviamo a immaginare il gioco di un bambino, un gioco qualunque che molti di noi probabilmente hanno sperimentato durante l’infanzia: costruire una capanna. Probabilmente il bambino creerà dal nulla la sua nuova fantastica dimora, cercando pezzi fortuiti in casa o al giardinetto. Di volta in volta improvviserà supporti indovinati, come sedie, tavoli, la maniglia di una porta e dove mancherà l’ingegneria supplirà la fantasia, che provvede a creare nella realtà, attraverso il gioco, ciò che manca: l’avvicinamento alla perfezione della forma “casa”, la personificazione degli attori e la messa in scena della storia che si vive in quell’universo parallelo.

Chi di noi, soprattutto tra i “maschietti”, ha utilizzato una carta da gioco fissata alla forcella posteriore della bicicletta con una molletta da bucato, per simulare il rumore del motore di una motocicletta, può ben comprendere questo processo creativo di completamento della realtà, lo stesso gioco delle bambole e del dare vita a personaggi e storie parla della stessa scoperta.

Dai giochi creativi che abbiamo appena osservato possiamo estrapolare alcune caratteristiche:

  • Il prodotto finale non viene anticipato nel tempo, ma viene creato passo passo, cresce e si modifica con l’atto stesso del “comporre” l’opera o il gioco
  • L’immagine iniziale non è chiara se non in una fotografia sfuocata e globale che può cambiare nel corso della creazione
  • Il tempo scorre istantaneamente e ristruttura un’immagine già presente nella memoria, o un’impronta di ciò che vorremmo creare; come nel caso del bambino che costruisce la capanna o simula il rumore del motore con la carta da gioco
  • Un elemento comune lo possiamo ritrovare in tutte queste esperienze: uno stato di moderata, diffusa e costante eccitazione.

L’atto creativo può essere allora una reminiscenza arricchita di un elemento nuovo, il presente e questo permette alla creatività di trasformarsi in una macchina del tempo che raccoglie dal passato impressioni informi, o inconsce e ne modella forme artistiche o relazionali nuove proiettandole nello sguardo futuro dell’artista e dello spettatore, in una istantanea e al tempo stesso immota sospensione dello scorrere. Un elisir di lunga vita.

 

Pablo Picasso a Vallauris di Luciano Emmer: https://www.youtube.com/watch?v=r7guqtyNkIw

 

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3 Giugno 2021

Ho trovato molto interessante l'articolo del dottor Alessandro Campailla sulla creatività e mi ha portato a fare alcune riflessioni. Essere creativi è un dono di pochi, dei geni, ma anche noi, nel nostro piccolo, possiamo diventarlo. Parto da un suo esempio perché l'ho conosciuto e praticato anch'io: La carta da gioco fissata con una molletta ai raggi della bicicletta per simulare il rumore del motorino. L'idea è stata di un bambino e altri l'hanno semplicemente copiata, ma c'è ne sono stati altri che hanno portato modifiche e ritengo questo passaggio molto importante perché permette a tutti di essere creativi. Ricordo diversi anni fa un bellissimo lavoro creativo fatto da un gruppo di studenti universitari, così si chiamava “ Le parole che non ho mai detto perché non avevo visto le foto.” Credo che ancora si possa trovare su internet. Si trattava di fotografie particolari e suggestive e sotto ad ognuna c'era un nome che la identificava nel suo insieme, ma un nome che non esiste su nessun vocabolario perché ideato dagli studenti appositamente per quella foto.

Ho provato anch'io a scegliere diverse foto e per tutte ho inventato un nome alimentando così la mia creatività. Vi assicuro che inizialmente non è facile , però molto divertente e gratificante quando poi si prova.

Ricamare mi sembra un atto creativo. So di dire una cosa strana perchè punto dopo punto il ricamo sembra più che altro un atto ripetitivo ma non è assolutamente così. Io ho imparato a ricamare alla scuola media inferiore quando ancora noi ragazzine avevamo 2 ore settimanali di Economia Domestica. Con un ricamo fatto a mano anche le cose più scialbe diventano preziose, soprattutto se oltre all'abbinamento dei colori dei fili, scegli il punto di ricamo giusto per il disegno che decidi di fare, per il tessuto e per la sede in cui lo applichi. Ricordo un paio di blue jeans che mi  ricamai a 15 anni, a zampa di elefante che dal ginocchio in giù avevo arricchito con ricami di giochi per bambini: un palloncino colorato, un elicotterino, una palla, palette e secchiello da spiaggia. Furono un lavoro di preparazione alla vacanza al mare. Chissà dove saranno andati e chissà se saprei rifarli per il mio nipotino? ma è comunque un gran bel ricordo

creatività, fare, fare con le mani, come quando ero bambina effettivamente io da bimba ho imparato a fare con le mani: ricamo, unicinetto con il filo filet, avevo preprato una splendida presina bianca in filet con una rosa con tutti i petali che degradavano dal rosso al rosa. Che bella che era! E poi cucinare, le letterine di Natale con le polverine luminose, me le hanno insegnate a scuola. Ma penso, ora che non si usano più le mani, ma concetti, come si è creativi? Imparando a dipingere, imparando a cantare, in un coro magari. Se ho capito bene quanto propone il dottore, l'amore è il vero atto creativo. Secondo me è davvero quello che ti ri-mette in moto il creare, che ti provoca eccitazione nel creare, aggiungendo il presente ahi---ahi--ahi--- Però specifico che non penso all'innamoramento, ma all'amore che ti porta a creare e quindi ad amare

p.s. per Mariella; sono andata a vedere "le parole che non ti ho detto perchè non avevo visto le foto" una bella creazione. Quelle foto lì, le loro disposizioni fanno bene all'anima. Vorrei provare anch'io con delle mie foto, una sorta di "risistemazione" delle nostre cose in un altro periodo della vita, che poi ci sono dentro di noi.

“Lo schwa? Ma cusèla?” Qualcuno deve aver detto a Castelfranco Emilia, paese tra Bologna e Modena, quando l’Amministrazione Comunale ha deciso di adottare nei post ufficiali lo schwa, la lettera “e” rovesciata, per esortare all’inclusione.
Anche un’Istituzione può essere creativa superando il linguaggio sempre al maschile con la desinenza neutra "ə", lo schwa, a chiusura di alcuni termini maschili-femminili. La "ə" manifesta cura e attenzione verso tutte le persone, in modo che si sentano ugualmente rappresentate.
Per allenarsi a pronunciare lo schwa ci sono anche dei tutorial, ma chi conosce il dialetto è avvantaggiato, pare che basti pronunciare la “e” in maniera tronca! 

Schwa

Mi sembra che tu abbia toccato un argomento molto vasto e di difficile soluzione. La lingua italiana è piena di queste anomalie e credo che continuino a rimanere tali anche se in molti propongono alternative. Quella della e rovesciata mi pare la più semplice ma troppe parole cambierebbero suono. Tempo fa in televisione fu intervistata Beatrice Venezi e il giornalista si rivolse a lei chiamandola direttora. Lei subito fece presente che da sempre chi dirige un'orchestra è chiamato direttore e anche lei desidera e si considera tale rifiutando categoricamente sia la parole direttora che direttrice. In un corso di poesia che ho frequentato tutte le poetessa hanno rifiutato questo appellativo ma si sono definite “la poeta”. Chissà se Dante Alighieri si definirebbe “il poeto”
A me personalmente fare della lingua italiana una questione solo  di femminile che include il maschile o viceversa mi sembra voler risolvere il problema , non andando alla radice, ma mettendo una vistosa pezza.
Mi viene da sorridere pensando a quando abbiamo cominciato a chiamare i ciechi non vedenti , i sordi non udenti, i netturbini gli operatori ecologici e le bidelle le operatrici scolastiche. Cambia il nome, ma non la sostanza del problema.

Mariella

 

Penso che la lingua sia espressione della cultura, del "sentire" di una società. Cambia col cambiare di questa, seguendo percorsi e tempi spesso non prevedibili, grazie a incontri, eventi, mescolanze, influenze di varia natura. Non cambia per decreto. A volte per fortuna: penso alle proibizioni del regime fascista che voleva escludere le parole straniere dalla lingua italiana con risultati a volte ridicoli, anche se, a forza di insistere (e di imporli per un brutto ventennio) in parte sono entrati nell'uso comune, ma senza nulla cambiare della sostanza delle cose a cui si riferivano: tramezzino/sandwich, film/pellicola, pullover/maglione. Sarebbe meglio se la parità e il rispetto fossero sostanziali e non sostanzialmente ambigue: un simbolo impronunciabile non cambia il comportamento delle persone.

MALINCROMIA. Per rispondere a Mariella e Caterina. Una parola inventata che potrebbe descrivere quello stato d'animo che ti  induce a vestirti come capita, con le cose che ti vengono in mano, pur di uscire, ma senza la voglia di essere curata nell'aspetto. Insomma una malinconia che si traduce in trascuratezza nell'aspetto.