Età e felicità due parole che fanno rima ma mai costanti durante la nostra esistenza. La seconda parola è strettamente correlata alla prima, dice la scienza, e il picco più alto di felicità si ha a 20 anni per poi scendere e risalire come la forma della lettera U, in tarda età. Per chi, come me, lavora nel mondo dei seniores, è in parte d'accordo con questa teoria. In tarda età spesso capita che i fatti della vita e la malattia ti colpiscano a tal punto che risulta davvero difficile essere allegri. I recenti eventi di Pandemia e Guerra poi, hanno reso tutto ancor più difficile: gli anziani hanno rivissuto periodi terribili, di grandi preoccupazioni in questi ultimi due anni. Ecco però che anche nell'ultima parte della vita possono esistere e resistere (di proposito uso questo verbo per sottolinearne la forza e perseveranza) grandi passioni e affetti che colorano le giornate anche quelle più nere. Alcuni degli assistiti del servizio E-care, anche quelli che davvero avrebbero pochissimo su cui scherzare, sono per noi degli esempi di vita per la tenacia con la quale si attaccano alla propria esistenza. Molti di loro vivono la vita cosi com'è e si compiacciono di quello che hanno, anche se poco. Accontentarsi della propria condizione di salute e di solitudine è pratica non comune alle generazioni più giovani e questa accettazione è spesse volte motivata da grande fede. Essere felici per gli altri è un altro aspetto di grande generosità dal quale prendere esempio: gli anziani si rasserenano se vedono i propri figli realizzati e in buona salute, a loro basta così, non chiedono nulla di di più. Se poi hanno nipoti, la loro presenza è davvero fondamentale. La serenità quindi come stile di vita, per abbandonare le ambizioni e affidarsi a quello che la vita ti regala. Alcuni dei nostri assistiti, che vivono soli, sono per noi un modello al quale tendere quando saremo più grandi: hanno un carattere così tenace, sono attaccati alla vita, sebbene quasi al traguardo, che ci sorprendono. Si riempiono la vita di cose da fare: piccoli lavoretti di rammendo, cucinare e preparare pasta fresca, giardinaggio. Altri trovano qualsiasi pretesto per socializzare e mantenere le amicizie, amano passare il tempo in compagnia scacciando la solitudine, che è l'aspetto forse più percepito. Ecco perché organizzare laboratori e attività di gruppo nel territorio diventa terapeutico nella lotta all'isolamento. La sig. Maria quest'anno 95 anni, ama il ballo, lo ha sempre praticato, adesso fa poche e lente mosse, questo non la ferma: appena sente la mazurka non riesce a stare ferma e si sente spensierata. Anche il sig. Giuseppe, appena 83enne ma ascoltare musica, la sua radio è sempre accesa, anche quando gli telefoniamo, la musica gli mette allegria: fantastica con la mente ricordando le serate al night in Galleria del Toro a Bologna. Il sig. Mauro che vive in provincia si occupa della cura del suo giardino e zona ortiva: fa tutto da solo svegliandosi presto la mattina e lavorando fino all'ora di pranzo all'aperto. Questo scandire la propria giornata avendo un compito da svolgere gli dà la forza ed euforia per iniziare la giornata. A proposito di allegria: la signora Enza, presto 85enne, da poco dimessa dall'ospedale dopo una caduta in casa, mi manifesta tutto il suo disappunto, ma ride allo stesso tempo, quando mi legge la lettera di dimissioni del medico. "Io sono incapace di svolgere le normali attività quotidiane? Io continuo a fare tutto, ma piano piano, un pò alla volta!". E Osanna chiama il servizio E-care aggiornandomi sull'esito di una visita specialistica, mi dice che ha raccontato una barzelletta spinta ai dottori quando è andata al controllo oncologico. Segue risata. Vorrei concludere inneggiando agli over, alla loro ilarità, alla loro forza di vivere, al loro scanzonato modo di ridere sopra le cose della vita, noncuranti delle conseguenze!
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23 Maggio 2022
Ho trovato queste mie riflessioni di una anziana ora vecchia fatte diversi anni ha...Forse Cristina Malvi mi può aiutare a ricordare la data...le condivido con voi.
23 maggio 2022
Sul PC ho ritrovato questo mio vecchio scritto che desidero condividere con voi....
Fragilità negli anziani
La parola fragilità desta in me curiosità e meraviglia specialmente se mi si affianca in quanto persona anziana.
Certo la parola fragilità denuncia soprattutto una predisposizione a frantumarsi, ma anche una certa debolezza o insicurezza o labilità e sono tanti i sinonimi che si possono trovare e che, ben si adattano, alle persone anziane o vecchie. VECCHIE : perchè deve farci paura questo termine poi non lo capisco. Nella mia esperienza di vita erano i vecchi a possedere le redini del comando , erano loro a prendere le decisioni finali.....
Ma la mia generazione ha abolito il desiderio di essere “Vecchio” per perpetuare a tutti i costi la giovinezza. So che la parola “Vecchio “fa storcere il naso a parecchi ma significa semplicemente “Persona che ha vissuto tanti anni” , e gli anni sono il nostro bagaglio, ciò che siamo, ciò che rappresentiamo e, a mio parere, non possiamo rinunciare a tutto questo capitale di sconfitte o di vittorie, di gioie o di dolori, di speranze o di paure.....che sono il nostro tesoro da trasmettere e non da seppellire.
Allora, siccome sono una persona accomodante ma anche dotata di una certa risolutezza ho deciso di far mio il ruolo che mi si addice. Sono una donna o signora Vecchia e fragile e da tempo mi sono incamminata lungo la tortuosa strada della vita e ora mi accingo a scalare quella piramide in cui, noi Bolognesi stretti stretti gli uni agli altri, a secondo delle nostre caratteristiche socio-culturali-economiche-genetiche ….e non so bene che altro, ci troviamo. Di per sé la parola fragile non mi spaventa: sono fragili i bicchieri di cristallo baccarat ma anche estremamente preziosi come mi piacerebbe esserlo in seno alla mia famiglia. Sono fragili le porcellane di Limoges e perchè no le bolognesi porcellane di Minghetti o di Richard Ginori da proteggere come beni irrinunciabili. A dire il vero alla mia città devo qualcosa di molto importante e il libro che sto leggendo un libro scritto da Cristina Malvi e Gabriele Cavazza che illustra ampiamente il lavoro che da due anni, qui a Bologna, alcune equipe di persone competenti stanno portando avanti. Non è un libro per gli anziani ma per tutti coloro che desiderano, sia con la preparazione culturale specifica, sia con le proprie capacità, sia con il proprio progetto lavorativo..... operare affinché gli anziani siano in grado di vivere l'ultima parte della loro vita con dignità sentendosi ancora utili , capaci di dare qualcosa di importante. Sembra una cosa semplice ma si tratta di un immenso lavoro.
Facciamo mente locale pensiamo a come possono diventare gli anziani messi un po' da parte e lasciati soli. Nel mio quartiere che ha visto circa cinquanta anni fa l'insediarsi di famiglie di giovani sposi, ha cambiato aspetto e nel bel giardino della Lunetta più che bambini che scorrazzano si vedono signore anziane accompagnate dalla governante. Mi piacerebbe conoscere chi ha coniato il sostantivo “ Badante” per identificare colei che si deve occupare delle persone bisognose di essere aiutate. Un termine che di per sé umilia...almeno io così lo ritengo.
Nel libro appaiono a chiare lettere i dati e sono veramente allarmanti e con il passare degli anni sarà sempre più difficile perché noi vecchi aumenteremo in maniera esponenziale e costeremo sempre di più alla società che non sarà più in grado di aiutarci..
Appare evidente che c'è un unico mezzo ed è prevenire i danni che l' avanzare degli anni può portarci : logorare la mente e fiaccare il corpo. Di questo ne hanno parlato psicologi, oncologi, neurologi che sono intervenuti alla presentazione di questo interessante libro. La prevenzione, se ben attuata, porterà anche un ritorno economico alla comunità. Quindi è importantissimo che noi aspiranti vecchi facciano di tutto affinché la fragilità si trasformi in un bene da salvaguardare. Mi piacerebbe molto sentirmi “un bene “ per la mia famiglia ma anche per le persone che abitano nel mio quartiere, per la mia città....
Mi accorgo che sto parlando di problemi più grandi di me e la vecchiaia non deve essere per me una scusante e allora ritorno là dove parlavo di prevenzione perché di questo argomento ne ho le conoscenze. Da due anni Bologna, la mia città, opera in questo senso ed io mi posso dire fortunata perché le circostanze hanno fatto sì che rientrassi in un primo gruppo di lavoro che mi ha dato lo stimolo di continuare a ricercarne altri e altri ancora portandomi fuori dalle mura domestiche, facendomi incontrare altre persone dandomi stimoli e l' opportunità di modificare il mio stile di vita.. Quello che in questo percorso mi ha meravigliato e anche amareggiato è stato il constatare che poche erano le persone che aderivano a queste molteplici iniziative o, se aderivano, frequentavano scarsamente le lezioni / attività.
La colpa è anche nostra, ma non solo nostra. In questa società l' ansia di essere giovani ci spinge a parlare come i giovani, a vestirci come i giovani a voler fare quello che fanno i giovani....e così abbiamo finito con l' abdicare il nostro ruolo di vecchi per diventare delle caricature e delle scimmiottature di noi stessi.
Inoltre nella mia vita di relazione mi accorgo che il proporre di frequentare il mio Centro Culturale viene scartato a priori e diventa impensabile e riduttivo per chi ascolta . Si perché se ora si chiamano Centri socio culturali il vecchio nome è rimasto come un marchio e nessuno vuole sentirsi dire che è anziano o meglio vecchio