Mi piaceva il titolo “Una felicità semplice” (dal libro di Sara Rattaro), per questo l’ho comprato e l’ho letto. Mi ha colpita perché di solito pensiamo alla felicità come a qualcosa di arduo da raggiungere, anche se cerchiamo poi di ricordarci che essa vive nelle piccole cose quotidiane che dovremmo imparare ad apprezzare. Ad ogni modo le due parole accostate mi hanno affascinato.
Avevo già letto alcuni libri (“Uomini che restano”, “La giusta distanza”, “L’amore addosso”) di questa scrittrice contemporanea, Sara Rattaro, che sa restituire molto fedelmente le sensazioni che accompagnano i temi della vita, mentre leggi finisci per entrarci dentro, vuoi o non vuoi. Così è stato anche in questo ultimo suo romanzo, che mi ha tenuta lì, incollata, a volte allontanata, come fanno i libri che ti parlano.
Cristina e Andrea, il grande amore della vita, quello che resta sottopelle e ti accompagna anche dopo la “fine” poi Cristina e Claudio, di fronte ai quali l’autrice scrive, riferendosi alla protagonista: “Mi ha risposto stringendomi a sé, forse nella speranza di allontanare da me quella sensazione di essere una persona che aveva già avuto tutto, come se non meritassi questo amore, come se prima o poi dovessi sacrificarlo in nome di tutta la felicità che avevo già vissuto”.
E’ possibile avere una seconda grande occasione per amare? E’ possibile, pur avendo già amato tanto, intensamente, darci il permesso di vivere una seconda possibilità, indipendentemente dal tempo che passa e che ci fa trovare più maturi nel corpo, più affaticati nell’animo, ma pur sempre desiderosi di appagare quello che è il primo e ultimo bisogno di ciascun essere umano, amare ed essere amato? Perché riaprirsi ad un incontro, una nuova relazione, dopo una fine deludente, ci sembra quasi un diritto, ma riaprirsi all’amore dopo un epilogo “naturale”, vissuto insieme affrontando la malattia di chi amiamo ed è stato seduto accanto a noi per una vita?
Ad un certo punto della lettura, sono arrivata a chiedermi “meglio amare con tutta l’intensità di cui siamo capaci, sapendo che un giorno comunque dovremo lasciar andare chi abbiamo amato perché così è la vita, oppure mantenerci sempre nella nostra zona di confort, un po’ più chiusi, un po’ meno disponibili, per non correre il rischio che il dolore di una perdita ci devasti?”. Ad un certo punto della lettura mi sono persino rassicurata dicendomi “tanto è un romanzo, la vita non è un romanzo”, peccato che alcuni scrittori sì romanzano, ma partendo dal vero, per aiutarci a fare i conti con i grandi temi della vita, anche attraverso una storia, resa in un libro.
Interrogativi importanti, che forse tendiamo a sfuggire, eppure la vita e la morte sono profondamente connesse, anche se in questa società la seconda facciamo finta che non ci riguardi. Il virus, pur nel caos che ha generato, di buono ci sta obbligando a guardare la realtà e ci sta ricordando che non si può fare finta che la morte non esista, bisogna piuttosto lasciare entrare in noi il pensiero, con il quale ogni tanto farci i conti, imparare a includerla.
Il libro è delicato come la seta sulla pelle, molto umano, ti fa amare la vita, scende nelle pieghe del vivere con dolcezza, è pervaso da una costante sensazione di amore, quello che la protagonista sa vivere a volte senza nemmeno esserne consapevole.
“La morte fa parte della vita. Era questo che mio marito voleva che io comprendessi. Che devi essere vivo per lasciarti prendere dalla morte (pag. 152)… Divertendosi, amandoci e insegando sempre qualcosa. Ero io che, così distratta ad ammortizzare gli urti, mi ero persa i dettagli (pag. 216)”
Buona lettura, se vorrete!
Maria
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