Postino della Resistenza

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La mia generazione - quella degli Anni 70 - ha conosciuto Gino Bartali grazie ai racconti dei genitori e alle immagini di trasmissioni nostalgiche che narravano la forza dello Scalatore delle Montagne.

Vincitore del Tour de France nel 1938 e nel 1948, Bartali nacque a Ponte a Ema, un paesino vicino Firenze, il 18 luglio 1914.

La sua era una famiglia umile composta da papà Torello Bartali, mamma e quattro figli. Le corse in bici cominciano per necessità: per frequentare la scuola media infatti deve raggiungere Firenze, andarci a piedi sarebbe troppo impegnativo in termini di tempo. Compra una bici grazie all’impegno di ciascun familiare e… partono le volate.

Gioca e corre con Giulio, suo fratello minore.

Con loro corre anche il tempo. Gino cresce in fretta; fra valli e colline toscane si avvia al ciclismo e nel 1931 - a 17 anni - vince la sua prima corsa.

Solo 4 anni dopo entra nel circuito dei professionisti e nel 1836 vince il Giro d’Italia. Partecipa al Tour de France nel 1938 e la sua vittoria viene strumentalizzata dal Fascismo che proietta in lui l’idea della superiorità della razza italiana.

Ma il cuore di Gino è ben altro.

Il 10 giugno 1940, l’Italia entra in guerra contro Francia e Gran Bretagna e Bartali viene richiamato nell’esercito. Lo “mette al sicuro” un’aritmia cardiaca a seguito della quale gli è affidato il ruolo di staffetta che gli permette di continuare ad allenarsi e gareggiare.

A seguito della caduta del governo Mussolini e dell’invasione tedesca del nord Italia, nel 1943 le leggi razziali antisemitiche trovano il loro più feroce accoglimento avviando anche le deportazioni.

Il cardinale Elia Dalla Costa, che da tempo agiva in segreto per aiutare e salvare vite umane, nel settembre del 1943 chiede ed ottiene la collaborazione di Bartali.

Uno dei bisogni dei perseguitati è reperire documenti falsi che ne consentano la sopravvivenza. Bartali, con la sua vittoria in Francia e il suo riconosciuto status di campione, si è meritato un salvacondotto che gli consente di spostarsi, allenarsi e gareggiare ovunque con la sua bici. L’intuizione fu di rendere quella bici contenitore dei documenti da recapitare nelle mani giuste.

Il telaio divenne scrigno e Bartali il postino.

Diviene collaboratore della Resistenza nascondendo anche una famiglia di ebrei, che fino alla liberazione di Firenze, fu ospite nella cantina della sua abitazione.

Intanto la guerra aveva quasi annullato l’attività agonistica e i continui spostamenti di Bartali destarono i sospetti dei nazisti. Nel settembre del 1944 Bartali viene arrestato e condotto nel quartier generale fiorentino – Villa Trieste – per essere interrogato.

E’ uno degli ufficiali a scagionarlo. Lo conosce bene Bartali: è stato suo sottoposto nell’esercito per questo garantisce per lui e ne stabilisce la scarcerazione.

Tuttavia l’impegno, il costante rischio di essere scoperto e la tensione gli procurarono non poche difficoltà che affronta e supera e nel 1946 torna a vincere il Giro d’Italia e due anni dopo nuovamente il Tour de France. Era il 1948.

Bartali non parlò mai di quegli anni e del suo ruolo con la Resistenza, ne accennò solo parecchi anni dopo a suo figlio che ha contribuito a rendere onore a questo italiano discreto, tenace, dichiarato e premiato postumo come “Giusto fra le Nazioni” (Premio Yad Vashem 2013).